Martina e Valentina
L’idea di dover vivere in funzione di una altra persona, nella fattispecie mia sorella, mi faceva soffrire. E come se non bastasse a volte avevo la sensazione che tutto l’investimento che facevo su di lei fosse inutile e non desse alcun frutto.
Martina ha 24 anni e vive con la sua famiglia al centro storico di Napoli, dove studia Lingue e letterature straniere. Sua sorella Valentina ha 21 anni e la Sindrome di Lennox Gastaut (LGS), una forma di epilessia rara con una prevalenza di circa 15 individui su 100.000. La malattia, che esordisce solitamente tra i 2 e i 7 anni, interessa il 5-10% dei pazienti epilettici e l’1-2% del totale dei casi di epilessia infantile. Tra i sintomi più caratteristici ci sono le crisi epilettiche multiple e il lieve ritardo mentale, associato a disturbi della personalità. “Siamo soltanto noi due – esordisce Martina –. Valentina ha 21 anni, ma è come se ne avesse 4 o 5 anni per alcune cose e 2 anni per altre, perché ha un vocabolario molto ristretto e parla solo per piccole frasi. Insomma è una grande cucciolona – sorride –. Fortunatamente col tempo è migliorata molto. All’inizio le davano farmaci che la sedavano”.
Pur somigliando per alcuni aspetti a una bambina, Valentina ha però il suo caratterino: “Il suo segno zodiacale è lo scorpione, e si vede – precisa sua sorella –. Se le fai un torto non dimentica. Per esempio, se la mattina la sgrido, la sera mi si avvicina e mi dà un pizzicotto. Ma forse – riflette –dipende anche dai noi che la trattiamo sempre come una bambina. Per esempio, a lei piace molto stare con i nostri genitori e se io mi avvicino è gelosa e li tira a sé”. Valentina trascorre la maggior parte del tempo in famiglia. “Purtroppo non va a scuola da tanto tempo, si è fermata alle elementari – racconta Martina –. All’epoca la maestra di sostegno la teneva quasi sempre nel corridoio. Per lei era difficile restare tutto il tempo ferma sulla sedia. Poi ha lasciato la scuola perché, essendo diventata troppo alta, non riuscivano più a controllarla. Per un po’ ha frequentato i centri diurni, ma ha smesso quando è diventata maggiorenne. Un periodo faceva anche riabilitazione in acqua e la cosa è andata avanti per circa due anni. La prima volta che l’ho vista in piscina mi sono commossa tantissimo”.
Pensando ai primi ricordi insieme a a sua sorella, Martina dice: “Purtroppo non mi ricordo più nulla di quando avevamo ancora una vita normale. La prima manifestazione della malattia è avvenuta quando Valentina aveva circa tre anni. Prima di allora parlava e cantava, abbiamo ancora i filmini di quando stava bene. Dopo la prima crisi epilettica ha cominciato però a regredire. Ricordo tuttavia quando andavo alla scuola materna e i miei mi venivano a prendere insieme a lei: ho impressa nella memoria l’immagina di questa bambina molto piccola seduta tra i banchi della scuola d’infanzia”. I ricordi successivi riguardano l’esordio della malattia: “Mi ricordo la prima crisi di Valentina, almeno la prima a cui ho assistito io – prosegue Martina –. Rivedo ancora mia madre e mio zio che la prendono in braccio e cominciano a cullarla e poi la portano di corsa all’ospedale. Non potrei ricostruire i particolari, è come un flash”. Seguono i peregrinaggi tra i diversi ospedali, prima a Napoli e poi a Roma, fino alla diagnosi di sospetta LGS, ma a oggi nessuno sa dire per certo cosa sia avvenuto a Valentina e per quali ragioni. Al di là della diagnosi, la piccola Valentina continua a non stare bene ma la sua sorellina maggiore è ottimista: “All’inizio ero molto speranzosa, non immaginavo che si trattasse di una condizione definitiva – dice ancora Martina –. Una volta ho espresso la mia angoscia a mia zia, che fa la logopedista, e lei mi ha rivelato che non si trattava di una condizione temporanea, ma permanente. È così che l’ho saputo. Ricordo di aver pianto tanto in quell’occasione”.
Nei confronti di sua sorella, Martina ha dei sentimenti ambivalenti. Trascorre molto tempo insieme a lei e alla nonna, che abita al piano di sopra “Da una parte volevo fare le cose che facevano gli altri bambini, dall’altra c’era mia sorella che aveva bisogno di me. Mia zia aveva suggerito alcuni giochi utili per potenziare le sue abilità e io li facevo con lei. Ricordo l’abaco in particolare. A volte però provavo rabbia nei confronti di mia sorella e poi sensi di colpa per il fatto di provare questo sentimento. I miei genitori non mi facevano mancare nulla, ma io cercavo di non essere di peso: non chiedevo aiuto per i compiti né regali. E poi li vedevo solo a sera, perché lavoravano tutto il giorno, passavo la maggior parte del tempo con mia sorella e mia nonna. Così quando arrivava l’ora di cena e ci ritrovavamo tutti insieme, generalmente ero taciturna”. Per Martina le cose peggiorano con l’adolescenza. “All’inizio la mia vita non era molto diversa da quella degli altri bambini. Quando mia nonna era più giovane, mia zia accompagnava me e i miei cugini a fare sport e altre attività. Ma con l’avanzare dell’età la nonna ha cominciato a sentirsi più stanca e allora era necessario che io fossi sempre presente, perché da sola non ce la faceva a occuparsi di mia sorella. Era così che nasceva la rabbia: l’idea di dover vivere in funzione di una altra persona, nella fattispecie mia sorella, mi faceva soffrire. E come se non bastasse a volte avevo la sensazione che i miei sacrifici, tutto l’investimento che facevo su di lei fosse inutile e non desse alcun frutto. Quando ero piccola – riflette Martina – sentivo di poter fare la felicità della mia famiglia. Ma quando mi sono accorta che, nonostante i miei sforzi, non potevo salvare il mondo ho provato rabbia”.
Col passare del tempo le cose cambiano un po’ per Martina, che comincia man mano a crearsi una vita più autonoma rispetto a quella della sorella. “Alla fine delle scuole medie ho cominciato a non voler più fare i giochi con Valentina. Non so esattamente come sia successo, ma a un certo punto ho ammesso a me stessa che per me si trattava di un peso”. Malgrado la presa di coscienza, alcune difficoltà restano: “I miei rapporti con gli altri, anche con le amiche, erano un po’ difficili. C’era qualcosa dentro di me che mi diceva che non potevo essere come loro. Avvertivo come un senso di pesantezza e, quando andavo alle feste, mi sentivo vecchia. Al liceo, per fortuna, ho incontrato nuovi amici, ma avevo ancora molta strada fare. E così, dopo un anno molto difficile in cui avevo perfino pensato di lasciare la scuola, ho capito che avevo bisogno di aiuto e, con l’appoggio di mia zia, sono andata al consultorio, dove mi ha seguito prima una counselor e poi una psicologa, con cui ho intrapreso un percorso durato due anni. Pur avendo tratto beneficio da questo percorso, vedevo però che intorno a me le cose non cambiavano e la mia vita era quella di prima: il pomeriggio dovevo stare a casa per restare accanto a mia sorella. La situazione è effettivamente migliorata solo qualche tempo dopo, quando abbiamo fatto una terapia familiare per un anno e, ora che sono diventata più grande, tutto va molto meglio”.
Oggi Martina sembra davvero soddisfatta della sua vita. “Innanzitutto ho tanti amici a cui voglio molto bene – chiarisce –. Le mie relazioni personali sono molto più semplici di quanto non fossero un tempo e io non mi sento più vecchia come mi sentivo una volta. Poi studio materie che mi piacciono e faccio tante cose che amo: scout, capoeira, teatro. Il teatro, in particolare, è la mia passione e il mio sogno è quello di farne il centro della mia vita: la cosa più bella, ovviamente, sarebbe riuscire a fare l’attrice, ma mi piace molto anche il cosiddetto teatro sociale”. Soprattutto, però, Martina si sente finalmente “fiduciosa”: “Da quando ho raggiunto una maggiore consapevolezza sono diventata una persona più serena e ho capito che i problemi si affrontano”, sottolinea. Importante anche l’incontro con l’Associazione famiglie LGS Italia. “Collaborando con loro mi sento meno sola e mi fa piacere stare con persone che portano avanti tante attività e non si piangono addosso – precisa –. Anzi ho cominciato anche a fare qualche lavoretto per l’associazione, come effettuare traduzioni di articoli scientifici. Mi piacerebbe però che anche le istituzioni facessero qualcosa di più concreto per migliorare la qualità della vita dei cittadini disabili”. Se pensa al futuro Martina è altrettanto ottimista: “Ora che ho finalmente compreso cosa voglio fare da grande mi sento molto più serena – conclude –. Sono fiduciosa nei confronti dei progressi della medicina e, soprattutto, che riuscirò a realizzare i miei progetti. Così, dopo averli portati avanti per 10-15 anni, potrò tornare a stare accanto a mia sorella e a occuparmi di lei. Valentina rimane, comunque, la persona più importante della mia vita”.